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Jerdlà

Jerdlà

di Lorenzo Sartorio

Le poche rimaste sembrano torretto di avvistamento.

Sono le care, vecchie colombaie di un tempo alcune delle quali sopravvivono ancora in qualche antica corte di casa nostra.

Un tempo, quando la carne si mangiava tre, massimo quattro volte all’anno (Natale, Pasqua, Sagra e forse giorno della trebbiatura), la gente aveva la necessità di provvedere al fabbisogno familiare con mezzi propri come il pollaio che forniva le uova quotidiane, gallein, capponi e  conigli per le feste canoniche, la “porcilaia” dove si teneva ben costudito il “gozén” (maiale) che, nel parmense, una volta ucciso diventa “nimäl”: una sorta di “animale sacro” del quale non si getta via nulla ed infine, per chi l’aveva, la piccionaia dove si tenevano quei piccioni la cui carne è ottima per taluni piatti tipici come le bomba di riso che le “rezdore” di una volta mettevano in tavola il giorno della Sagra ovviamente dopo gli immancabili anolini in brodo.

Le colombaie erano costruzioni rurali a forma di piccole torri rialzate sulla copertura di un edificio maggiore. Maurizio Arduin nel mensile “Vita in Campagna” così le descrive: “all’interno delle colombaie erano presenti piccoli vani ricavati nello spesso dei muri o appositamenti realizzati. In questi vani erano ospitati i nidi costruiti da scodelle in terracotta rivestite di paglia. Le colombaie non avevano finestree e l’accesso esterno era garantito da piccole aperture attraverso le quali potevano passare solo i colombi. Queste aperture erano sempre posizionate a levante (est) o a mezzodì (sud)”.

Inoltre il piccione, oltre aver rappresentato una buona riserva alimentare per la famigliare contadina di ieri, non procurava alcun danno ai campi in quanto, a differenza di altri uccelli domestici, non razzola e non scopre i semi messi a dimora.

Ma come sono sorte le colombaie di cui anche nel nostro contado esistono ancora alcuni esemplari come uno molto bello, possente e significativo sulla strada che conduce a Traversetolo la cui torre svetta ancora con quelle minuscole feritoie dalle quali un tempo uscivano i piccioni?

Lo studioso afferma che l’origine delle colombaie a torre risale al medioevo quando era esclusivo diritto dei nobili costruire colombaie a “piede fermo” e cioè con solide fondamenta di pietre. Ai contadini e al volgo era concesso solo di realizzare colombaie “volanti” cioè sostenute da pali.

Ma con il tempo le case coloniche poterono attrezzarsi di piccole torri adibite a colombaia e molto spesso furono ampiamente utilizzati anche i sottotetti.

Di colombaie ne esistevano di diverse forme e stili: alcune rispondevano a criteri archettonici raffinati che seguivano lo stile del palazzo patrizio ove sorgevano.

Le caratteristiche peculiari di queste colombaie erano le aperture di involo decorate con piccoli balconcini a volte proprio per testimoniare l’importanza della famiglia che le possedeva. Altre erano torri vere e proprie di forma circolare che rispondevano a necessità pratiche: evitare le scalate di predatori come i topi ed inoltre potevano ospitare al loro interno una scala a chiocciola, salendo la quale, il contadino poteva raggiungere con facilità i vari nidi. Ma a proposito di predatori, essi non erano solo topi o altri animali: il più delle volte, chi faceva razzia dei teneri piccioni novelli, erano robusti “predatori a due gambe” i quali, con il favore delle tenebre e muniti di un grosso sacco di iuta, facevano irruzione nella colombaia cercando di riempire il loro sacco.

Fortuna per loro se il contadino non se ne accorgeva o aveva il sonno pesante; in caso contrario il tutto si risolveva con sonore legnate ed un fuggi-fuggi generale.

Molto diffuse erano le torri colombaie che spiccavano sulla parte centrale delle casa colonica come nel caso di quella sulla Strada di Traversetolo. A volte le aperture di involo erano realizzate sui muri della torre disegnando un caretteristico ricamo altre volte, invece, le torri presentavano un’unica apertura tale da confondersi con i balconi e le altre finestre dell’abitazione.

Più recenti, invece, sono le colombaie ricavate nei sottotetti (granär), ma esistevano anche colobaie ubicate in rustici annessi alla casa dove trovavano posto: lo “stabio” per il maiale, il pollaio e la conigliera debitamente “protetti” da una grossa pianta di noce o di fico.

Oramai le colombaie funzionanti sono ben poche e quel senso di abbandono che si prova nell’incontrare rustici e stalle deserte non depone certo a favore della nostra civilità anche perché, quelle torrette dentro le quali instancabilmente andavano e venivano i piccioni tra batter d’ali, leggiadri voli di piume e odore di granaglie, stavano ad indicare che in quella corte c’era lavoro, ma soprattuto c’era vita. Erano, insomma, comunità con cuore ed anima

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